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Tracciare il limite

Il nostro punto di vista sulla situazione politica ortonese. È la prima volta in 5 anni di attività che esprimiamo la nostra opinione sulle questioni della Città. Non lo abbiamo mai fatto perché il nostro obiettivo è sempre stato quello di informare i nostri concittadini senza essere di parte. In questi anni ci hanno definiti “filoCastiglioniani”, “antiCastiglioniani”, “vicini a Marchegiano”, “sinistroidi” ecc. Sempre dietro le spalle chiaramente. Sono tutte medaglie cucite sui nostri petti, perché significa che il nostro obiettivo di informare bene è stato raggiunto, cosa che ci dimostrate peraltro sempre voi lettori. Oggi però sentiamo l’esigenza di “tracciare una linea”. Sappiamo che è sconveniente in un paese come Ortona “tracciare linee” ma pensiamo che chi si spende per questa Città non debba avere paura di esternare il proprio pensiero.

A cura di Alessandro Di Deo.

Cari concittadini, amici,

Le elezioni amministrative rappresentano per ogni comunità come la nostra un momento di fermento, di dibattito e di scontro ma al contempo sono anche un’opportunità di riflessione, di incontro e di instaurazione di nuovi rapporti. Pur prediligendo forme di discussione diretta, alla luce dei recenti avvenimenti, ho sentito il desiderio e la necessità di condividere con voi, nelle righe che seguiranno, qualche riflessione. Premetto, in controtendenza con quanto accaduto nella nostra Città di non essere, in linea di principio, un sostenitore delle formule civiche. Esse, in molti casi, non sono altro che un mantello per celare vecchi volti ed anacronistiche esperienze già logorate dal giudizio della piazza. Aggiungo quanto ritenga fondamentale il ruolo dei corpi intermedi, dei partiti, non solo come luoghi di elaborazione di proposte concrete alle attività di governo, ma soprattutto come strumenti di trasmissione e di sintesi delle varie sensibilità e dei vari interessi che nascono e si sviluppano in seno alla cittadinanza. Concretamente, ritenendo la sfida delle regionali, la battaglia politica più importante per il nostro territorio, ecco che il limite delle esperienze civiche viene a galla. Troppo spesso, infatti, nel civismo locale risiede poi l’impossibilità o l’incapacità di offrire una valida e competitiva proposta politica ai livelli più alti che sia in grado di attrarre e far convergere più vasti consensi di quelli necessari all’interno dei confini “domestici”. Intendiamoci, tale limite non è ascrivibile in toto al “civismo”, esso era infatti già presente in un territorio nel quale i partiti e gli schieramenti tradizionali non sono stati capaci di creare ed offrire spazi di partecipazione informata, ampia e strutturata. Ora, e qui il primo punto sul quale occorre una riflessione, corriamo il rischio di vedere tali limitazioni aggravarsi sotto il peso di apparentamenti, senza distinzioni di schieramento, che danno luogo a compagini innaturali e che non potranno avere una collocazione unitaria all’interno dei blocchi che concorreranno alla sfida regionale. La nostra città rischia, di nuovo, di essere spettatrice impotente ed Ortona manca da troppo tempo al tavolo che veramente conta.

Permettetemi di fare un passo indietro, e di richiamare le vicende della passata stagione elettorale, quando 5 anni fa, le contrapposte proposte civiche hanno dato vita al confronto tra l’attuale primo cittadino e Giorgio Marchegiano. Ad esse mi sento sinceramente di riconoscere più di un merito. Per la prima volta, nella mia breve esperienza di osservatore della politica locale ritengo si sia percepito un sentimento di rinnovamento e a loro va il merito di averlo incarnato. Intendiamoci, alle elezioni si corre per vincere, non per il bene comune, l’uguaglianza, la libertà, parole di per sé vuote e strumento di una retorica insopportabile, ma quelle esperienze al di là della vittoria, sono state portatrici, forse senza esserne pienamente consapevoli, di un fine molto più nobile che difficilmente si può riscontrare negli assetti partitici attuali. Il potere, inteso come potenzialità di fare qualcosa, si può dividere, il potere si può suddividere, condividere, articolare e tutti i cittadini, ognuno con le proprie aspirazioni e con i propri desideri, possono parteciparvi e non solo essere un nome ed un cognome tra i tanti in una moltitudine di liste, volte a sommare parenti, amici colleghi di lavoro e vicini di casa. Di quelle due esperienze una è fallita, perché sono venuti meno i presupposti iniziali, lentamente sciolta e confluita, volenti o nolenti, nel gruppo a sostegno del candidato Ilario Cocciola. L’altra, quella di Castiglione rimane una incompiuta. Perché se oggi una città è spaccata in due in parte è per demerito di una amministrazione troppo spesso percepita come auto-referenziale e incentrata sull’azione e il lavoro di pochi singoli. A scanso di equivoci, e per essere pienamente onesto con voi, lasciatemi però anche esprimere un apprezzamento sincero verso la stessa. In un periodo storico complicatissimo, attraversato dalla più acuta crisi pandemica degli ultimi 100 anni, essa ha dimostrato, nel bene e nel male, quantomeno uno spirito di iniziativa sconosciuto durante l’amministrazione precedente, della quale facevano parte molti dei principali attori che oggi ne contendono lo scettro. Nulla di nuovo sotto il sole e benché la novità non sia di per sé garanzia di positività e progresso, di sicuro non lo è la memoria corta. Date le premesse vengo al punto e vi porgo una domanda sulla quale io stesso mi sono interrogato in questi ultimi giorni. Cosa conta dunque veramente in una tornata elettorale? Vincere? Perché reputo legittimo, anche se forse non pienamente condivisibile, pensare che se messa a nudo alla fine il solo ed unico scopo di una candidatura sia la vittoria. Da questo punto di vista l’apparentamento tra la destra di Di Nardo e il gruppo guidato da Ilario Cocciola e molti ex esponenti della sinistra locale non dovrebbe scandalizzare. Vincere a tutti costi o se preferite il potere, che è una parola bellissima, costi quel che costi. Ma è davvero tutto qui il senso di questo grande Circus? Tutto si riduce ad un dualismo tra candidati ed ad un unico obiettivo che tutti gli altri assorbe e rende futili? Il voto non riguarda esclusivamente la scelta del primo cittadino, poiché in gioco vi è qualcosa di molto più prezioso: la rappresentatività di un sistema e di una comunità. La democrazia rappresentativa vive di compromessi, di accordi ma soprattutto essa esiste e sussiste sulla base della ricchezza di distinzioni, di proposte e di punti di vista. Per questo motivo, ho ritenuto incomprensibile quanto accaduto e, vi confesso, difficilmente giustificabile. Al di là dei personaggi e dei giudizi personali che si possano avere sugli stessi, la convergenza tra coloro che si ergono a rappresentanti delle ali moderate e progressiste e i candidati della destra conservatrice (uso il termine conservatore anche se tutti sappiamo quanti siano, neanche troppo velatamente, i “nostalgici” tra quelle file) rappresenta un espediente del quale nuoce l’intera collettività a vantaggio di pochi. Ridurre distinzioni e differenze vaneggiando la convergenza di programmi elettorali che, lungi dal rappresentare concrete proposte amministrative, non sono altro che una lista di buone intenzioni quantomai appiattite e prive di una vera organicità, produce un gioco all’interno del quale prima o poi ne usciremo tutti sconfitti. Perché? Perché attraverso il voto non esprimiamo semplicemente una preferenza ma in qualche modo noi con quella croce, accanto a quella sociale, esprimiamo anche la nostra sfera intima, il nostro pensiero, il nostro modo di essere, la nostra percezione di ciò che ci circonda e delle regole che dovrebbero governare il nostro stare insieme. Ecco la bellezza del termine espressione che si lega al voto, non è solo una scelta. Ed allora elettore di sinistra, centro-sinistra, moderato, ti chiedo dove sei? Ti chiedo, come ho chiesto a me stesso, è possibile rimanere immobili? Davvero la percezione della mancanza di alternative valide unita ai giudizi personali è un deterrente così potente da rendere il fine giustificazione di qualsiasi mezzo? Dove tracciamo il limite? Come fai ad accettare senza riserve che da un palco chi si declama come tuo rappresentante ti dica che di fronte al tanto decantato “bene assoluto” della città non ci siano differenze? La libertà di espressione dei vari orientamenti sessuali, il diritto all’aborto, il diritto ad un salario minimo congruo e dignitoso, lo Ius Scholae (che dovrebbe essere la più grande battaglia di civiltà di questo paese), una gestione dell’immigrazione che non si riduca alla chiusura di un porto e alla messa allo stato di deriva di una imbarcazione, la difesa dell’amicizia che lega i popoli europei, non contano più di fronte ad una sfida solo perché essa riguarda un livello locale? Davvero siamo arrivati al punto di dare limitazioni geografiche e territoriali ai nostri principi e a ciò in cui crediamo? L’ espressione dei cittadini non si esaurisce, e non può esaurirsi, il, e per, il giorno delle votazioni altrimenti essa non diventa altro che mero esercizio di una procedura democratica. Baumann nel suo “Liquid Times” ha per la prima volta esplicitato il termine “società liquida” teorizzando quella correlazione che sussiste tra la perdita di autorevolezza ed efficacia delle strutture governative, politiche e sociali con il graduale e progressivo sfaldamento delle antiche contrapposizioni sociali. Certamente è vero che le classi di una volta non esistono più, ma non per questo non ci sono più distinzioni, divisioni ed è compito della politica discernere, distinguere e di conseguenza rappresentare. Nella società non ci sono che le parti, ed è grave per non dire becera mistificazione che due coalizioni, dopo aver ottenuto rispettivamente il 20% e poco più del 30% (senza contare l’astensionismo dilagante) si giustifichino ritenendo il loro consenso e il loro elettorato un tutt’uno. Non è un programma che vi lega ma l’aspirazione, l’inimicizia verso lo sfidante e forse il mero esercizio di posizioni di potere. No, amici e concittadini, mi rifiuto di credere che uno valga uno e che la somma in politica sia uguaglianza. La società, cito, è un tessuto, fatto di infiniti fili, di infiniti colori e di questo tessuto dovremmo tutti avere cura. Forse è arrivato il momento di ricordarlo, è un nostro diritto ma soprattutto è un nostro dovere. Con profondo rispetto, Alessandro Di Deo Questa riflessione e’ stata condivisa e arricchita da Monica Rega, Gianluca Primavera e Antonio Di Carlo ai quali va tutta la mia stima ed amicizia.


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